di Silvia Gallo e Giorgio Ghia
«Fino a qualche decennio fa il termine
working poor sarebbe stato rubricato come contraddittorio, un ossimoro». Inizia così la penultima parte della ricerca che Silvia Gallo e Giorgio Ghia hanno compiuto per la
Caritas astigiana, indagando le ragioni legate al disagio dovuto alla perdita di lavoro. «Nei cosiddetti anni del boom economico che hanno fatto seguito al periodo di ricostruzione post-bellica - proseguono ancora i due sociologi - non esisteva un nesso diretto tra lavoro e povertà. Chi occupava un posto di lavoro – e generalmente si trattava di posto fisso – nulla aveva a che fare con la povertà». Era così, ora non lo è più. Ma piuttosto che limitarsi a rimpiangere modelli sociali non più attuali, né sostenibili, l’indicazione che ancora una volta propongono Gallo e Ghia è quella di investire - attraverso un sistema educativo e formativo rinnovato alla radice - nella sola caratteristica umana non rimpiazzabile dalla tecnologia: la capacità creativa.
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