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DILILI A PARIGI
da mercoledì 24 aprile
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mercoledì 24 ore 17.15 - 21.30
giovedì 25 ore 16.30 - 20.30
venerdì 26 ore 19.20
sabato 27 ore 18.30 - 22.30
domenica 28 ore 16.30 - 20.30
lunedì 29 ore 19.20
martedì 30 ore 17.15 - 21.30
Regia di Michel Ocelot, con Prunelle Charles-Ambron, Enzo Ratsito. Titolo originale: Dilili à Paris. Genere Animazione - Francia, 2018, durata 95 minuti.
https://www.youtube.com/watch?v=MyKl3ugc-dA
Dilili è una piccola kanak meticcia, che arriva a Parigi, a fine Ottocento, imbarcandosi di straforo sulla nave che riporta in Francia, dalla Nuova Caledonia, l'insegnante anarchica Louise Michel, di cui diviene discepola. Nella capitale stringe amicizia con Orel, un facchino affascinante e gentile, che conosce tutto il mondo culturale e artistico della Belle Époque. Insieme a lui, scarrozzerà per tutta Parigi alla ricerca dei cosiddetti Maschi Maestri, una banda di malfattori che terrorizza la città, svaligiando le gioiellerie e rapendo le bambine.
"Quanta bellezza, intelligenza e ironia, in questo Dilili a Parigi, che sembra assommare i precedenti lavori di Ocelot (l'incipit richiama esplicitamente Kirikou, altre scene strizzano l'occhio a Azur e Asmar) e rinnovare ancora una volta l'arte dell'animazione cinematografica.
Con la consueta, straordinaria abilità, Ocelot fonde l'intento educativo con un'immaginazione galoppante, la realtà, del paesaggio parigino, e dei tanti personaggi illustri chiamati a raccolta, con la freschezza di uno sguardo nuovissimo, che non teme il confronto con le icone, perché possiede in quantità gentilezza e coraggio.
Esattamente come la protagonista di questo film, Dilili: un personaggio che pare uscito da un classico della letteratura per l'infanzia, ma è portatore di una consapevolezza contemporanea, straordinariamente matura e cristallina. Una nuova Zazie, che fa rivivere cinematograficamente la capitale francese come non accadeva da tempo, esplorandola in ogni dove, dalle fogne al cielo, per celebrarla, infine, con una sequenza tra sogno e spettacolo.
Ocelot risponde al richiamo delle urgenze politiche e sociali contemporanee, e all'oscurità culturale di questo inizio di millennio, ambientando i peggiori spettri dell'attualità, misoginia e terrorismo, al tempo del progresso (Gustave Eiffel), delle invenzioni futuristiche (Alberto Santos-Dumont, i Lumière), delle scoperte scientifiche (Marie Curie), dei capolavori dell'arte (Toulouse Lautrec, Renoir, Picasso, Rodin, Camille Claudel) e della letteratura (Proust).
È un confronto impietoso ed eloquente, che passa anche e soprattutto dal piano delle immagini, senza bisogno di commenti aggiuntivi: nella bellezza dei palazzi Art Nouveau, dei manifesti di Mucha e dei costumi dei Sarah Bernhardt brilla un'idea di vita e di socialità che sta all'opposto dell'idea di sottomissione e copertura che anima la setta di villains del film, e nella ricerca tecnica e visiva di Ocelot riecheggia lo spirito di quelle imprese e l'emozione della meraviglia.
"Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza", diceva Oscar Wilde, e Ocelot pare invitarci a questo tour di un'altra stagione della storia e dell'anima, in compagnia della più intraprendente e simpatica piccola donna che la sua fantasia potesse partorire, proprio per ricordarlo alle nostre pigre menti e dar loro un'iniezione di elettricità." (Marianna Cappi, mymovies.it)
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UN'ALTRA VITA - MUG
da mercoledì 24 aprile
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mercoledì 24 ore 19.20
giovedì 25 ore 18.30 - 22.30
venerdì 26 ore 17.15 - 21.30
sabato 27 ore 16.30 - 20.30
domenica 28 ore 18.30
lunedì 29 ore 17.15 - 21.30
martedì 30 ore 19.20
Regia di Malgorzata Szumowska. Un film con Mateusz Kosciukiewicz, Agnieszka Podsiadlik, Malgorzata Gorol, Anna Tomaszewska, Dariusz Chojnacki. Titolo originale: Twarz. Genere Drammatico - Polonia, 2018, durata 91 minuti. Uscita cinema mercoledì 24 aprile 2019 distribuito da Movies Inspired.
https://www.youtube.com/watch?v=J3EsXbZqv9I
Jacek ama l'heavy metal e il suo cane. Si diverte ad attraversare le strade di campagna come se fossero piste da corsa e a giocare la parte del tipo alternativo in un tradizionale villaggio della Polonia. Jacek lavora in un cantiere vicino alla frontiera polacco-tedesca dove verrà costruita la più grande statua di Gesù al mondo, che deve competere con quella di Rio de Janeiro. Tuttavia poco dopo aver chiesto la mano alla sua fidanzata Dagmara con cui progettava un futuro insieme, un terribile incidente al lavoro gli sfigura completamente il viso e gli stravolge la vita. Assediato dalla stampa polacca, Jacek diventa il primo caso nel Paese di trapianto alla faccia. La gente lo festeggia come eroe nazionale e martire del lavoro, ma lui non riesce più a riconoscersi allo specchio. Nel frattempo la statua di Gesù diventa sempre più alta.
ORSO D'ARGENTO GRAN PREMIO DELLA GIURIA AL FESTIVAL DI BERLINO 2018
"Dopo In the name of (2013), Malgorzata Szumowska ritorna ad esplorare la vita di provincia della Polonia rurale, imbevuta di cattolicesimo bigotto e superstizioni popolari, in un dramma dallo humour nero e i toni grigi.
La regista polacca conduce sapientemente un aspro dramma sul suo Paese, di cui porta alla luce contraddizioni, ipocrisie e un orgoglio religioso e nazionalistico, di cui è simbolo l'enorme statua di Gesù. La storia di Jacek, outsider del paese che ascolta i Metallica, porta jeans strappati e sogna di trasferirsi in Inghilterra, offre dunque uno sguardo impietoso sulla ristrettezza di orizzonti di un villaggio a cui non si sente di appartenere. Sarà probabilmente lo stesso amore-odio della regista per la sua terra madre, da cui si allontana ma a cui sempre ritorna, che la aiuta a distanziarsi in campi lunghi sulla bellezza della sua Polonia per poi focalizzarsi sullo squallore e sulla piattezza della gente di provincia. In piani sempre più stretti Szumowska osserva il volto sfigurato di Jacek, specchio di un villaggio deformato da meschinità, volgarità e fatalismo.
Mug, che vuol dire appunto "brutto muso" ci porta a riflettere sulla percezione di sé e quella degli altri, sul significato di identità in rapporto all'apparenza. Il viso deforme di Jacek non gli permette più di lavorare, vivere o essere amato come prima, perfino dalla sua stessa madre che vede in lui un'altra persona, un estraneo.
Il duro realismo della storia che non cede ad alcuna edulcorazione, si tinge tuttavia della bizzarra leggerezza della commedia fantastica in una dramma commovente venato di sottile ironia. La caratterizzazione dei personaggi, che assomigliamo piuttosto a caricature, tra cui il prete del villaggio, riescono a suscitare il riso nonostante la tragicità della situazione.
A introdurre il tono di Mug, la scena d'apertura con una corsa di clienti in lingerie per i saldi di intimo in un ipermercato, in una metaforica visione del consumismo, stabilisce una strana e inconfortevole atmosfera che perdura per tutto il film fino all'apparizione dell'opera finita della statua di Gesù che su tutti veglia. Tra l'assurdo e il grottesco, dunque, la sofferenza di Jacek, che rimanda in qualche modo a quella di Gesù, rimane come testimonianza della lotta di un singolo alienato dalla sua comunità." (Francesca Ferri, mymovies.it)
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Programma Mabuse Cineclub febbraio-maggio 2019
c/o Cinema Terminale - Via Carbonaia 31 - Prato
DALLA VIA EMILIA A HOLLYWOOD:
IN RICORDO DI BERNARDO BERTOLUCCI
Lo scorso 26 novembre se n'è andato probabilmente l'ultimo dei grandi Maestri del cinema italiano del dopoguerra: Bernardo Bertolucci. Una figura fondamentale per l'intero panorama cinematografico europeo ed americano, capace di raccogliere e di tradurre l'eredità pasoliniana in uno stile del tutto personale, già all'inizio degli anni '70: un linguaggio mai visto prima che affascinerà un'intera generazione di registi e autori d'oltreoceano e andrà a influenzare tutta la cosiddetta corrente della “New Hollywood”. Ma Bertolucci è stato anche (e continua ad essere) forse il regista più divisivo della nostra Storia recente: gli scandali legati alle presunte oscenità e alle forti prese di posizione politiche presenti in molti dei suoi film (in particolare Ultimo tango a Parigi e Novecento), dopo le condanne e i sequestri iniziali da parte della censura italiana, non hanno mai smesso di placarsi ed è ancora particolarmente in voga una narrativa accusatoria nei suoi confronti, del tutto fuori contesto e priva di alcun fondamento. Per ricordare Bernardo Bertolucci abbiamo deciso di concentrarci sulla prima parte della sua carriera, precedente all'Oscar e ai kolossal hollywoodiani. Film entrati con forza nel nostro immaginario comune, sempre attraverso un impatto critico (alle volte persino violento) col nostro senso di appartenenza e col nostro senso del pudore. Alcuni dei titoli inseriti nella rassegna vengono qui presentati in nuovissime copie restaurate in 4K per la migliore esperienza cinematografica possibile. Buona visione!
Spettacolo unico il MARTEDÌ alle ore 21.30
POSTO UNICO 5€ - *COPIE RESTAURATE 6€
RIDUZIONI PER ABBONATI METASTASIO E MONASH UNIVERSITY 4€/*5€
INGRESSO RISERVATO AI POSSESSORI DI TESSERA ASSOCIATIVA 2019 (1€)
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NOVECENTO ATTO II - copia restaurata 4K
martedì 23 aprile - ore 21.30
c/o Cinema Terminale
via Carbonaia 31 - Prato
a cura di Mabuse Cineclub
CAST
Regia: Bernardo Bertolucci
Attori: Burt Lancaster, Donald Sutherland, Robert De Niro, Dominique Sanda, Alida Valli, Sterling Hayden, Stefania Sandrelli, Gérard Depardieu
Soggetto: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe Bertolucci
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe Bertolucci
Fotografia: Vittorio Storaro
Musiche: Ennio Morricone
Montaggio: Franco Arcalli
Scenografia: Ezio Frigerio, Gianni Quaranta
Arredamento: Maria Paola Maino, Gianni Silvestri
Costumi: Gitt Magrini
Effetti: Bruno Battistelli, Luciano Byrd
Suono: Claudio Maielli
TRAMA
Dal 1900 al secondo dopoguerra, le due vite contrapposte e intrecciate del contadino Olmo (Gérard Depardieu) e del ricco latifondista Alfredo (Robert De Niro) al centro di un poderoso e veemente affresco dove Bertolucci ha tentato di fondere il mélo hollywoodiano con l'epica comunista, non senza echi filmici inattesi (il patriarca Berlinghieri di Burt Lancaster è quasi una variante acre e sanguigna del principe di Salina). Due atti: il primo va dal 1900 all'avvento del fascismo, il secondo si conclude con la Liberazione. Oltre al sontuoso ed eterogeneo cast, protagonista è il paesaggio della campagna parmense, esaltato dalla fotografia di Storaro.
Nel secondo atto: Alfredo, troppo succube ai fascisti, viene lasciato dalla moglie; Olmo subisce la repressione politica fino alla Liberazione, quando guida i contadini contro il padrone, Alfredo. Il fattore viene ucciso con la sua amante, Alfredo è condannato simbolicamente a morte. Ma l'amicizia fra i due uomini cresciuti insieme non viene meno.
CRITICA
"Qualcuno può dire, ad esempio, che si tratta della fine ‘ufficiale’ del cinema ‘giovane’ degli anni Sessanta. Certo Novecento smette del tutto i vezzi e i modi di quella che è stata un’avanguardia vitale; certo rinuncia agli atteggiamenti giovanili (e giovanilistici) cari al decennio precedente. Ma non sancisce con questo un puro e semplice ritorno all’ordine; non è la resa alla normalità dopo gli inutili eccessi. Novecento spera invece di unire quelli che paiono gli opposti, il desiderio di un cinema politico e il desiderio di un cinema ricco; spera di conservare il meglio di un’esperienza sentita come ormai conclusa e di innestarla sul tronco di una tradizione ancor viva. Per questo compromesso (la battuta viene facile: compromesso storico...) il film è costretto a scegliere un campo: pagherà con il rifiuto di ogni marginalità superflua l’acquisto di un immaginario che si vuole collettivo; pagherà con l’uso della metafora e dell’emblema la volontà di una comunicazione che si vuole la più vasta; pagherà con la rinuncia a ogni accusa privata la sicurezza di costruire una favola ‘esemplare’. Nella biforcazione ormai in atto (ne abbiamo già parlato: da una parte un cinema ‘post moderno’, medium non più universale ma polverizzato in tante esperienze diverse; dall’altra un cinema preclassico che crede ancora in una logica morta e punta a recuperi che non possono che essere parziali), Novecento traccia dei confini: ma dentro i corni del dilemma, e non tra le ipotesi estreme. Un mélo politico? Forse. Forse ce n’era bisogno." Francesco Casetti, Bernardo Bertolucci, La Nuova Italia, 1976
"Metafora d’un mezzo secolo con cui il giovane Bertolucci esercita il diritto di trasfigurare in visione l’idea che a torto o a ragione se n’è fatta, non importa molto se Novecento è meno fedele alla storia di quanto si potrebbe pretendere da un documentario. Preme invece che abbia una sua tenuta fantastica, una sua magnificenza di romanzo-fiume per immagini, una potenza di chiaroscuro che esprima la drammaticità vista la destinazione popolare dell’opera. Queste virtù non gli mancano, sorrette da una carica emotiva e da un’intelligenza visionaria quasi permanente. Novecento si fa apprezzare come un concerto di sensazioni e di memorie sopite spesso toccante per la virgiliana sensibilità di paesaggio, per la densità balzachiana di qualche ritratto, l’uso amorevole delle comparse emiliane, la franchezza così sfuggente alle tentazioni manichee non nasconde la ferocia sottintesa anche nel mondo rurale, l’ariosità della saga e la pregnanza dell’allegoria." Giovanni Grazzini, “Corriere della Sera”, 26 settembre 1976
Spettacolo unico il MARTEDÌ alle ore 21.30
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