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FREE SOLO - vers.orig.sott
solo giovedì 28 marzo
per Altre Visioni
giovedì 28 ore 21.30
La distribuzione ha imposto a tutte le sale italiane che volessero programmare il film un prezzo unico del biglietto di 14 euro
PREMIO OSCAR 2019 MIGLIOR DOCUMENTARIO
Regia di Jimmy Chin, Elizabeth Chai Vasarhelyi, con Tommy Caldwell [II], Jimmy Chin, Alex Honnold, Sanni McCandless. Titolo originale: Free Solo. Genere Documentario - USA, 2018, durata 100 minuti
https://www.youtube.com/watch?v=S4F3JK7oHn0
Alex Honnold è un ragazzo introverso che fatica a socializzare. Una cosa, però, la sa fare bene, anzi, come nessun altro: scalare. Così, montagna dopo montagna, a mani rigorosamente nude, senza protezioni, si conquista la fama mondiale del free climber più intrepido, tanto da riuscire a scalare la vetta di El Capitan, sua ultima leggendaria impresa che ha richiesto ben tre anni di preparazione, atletica quanto mentale.
UN FILM POTENTE E CORAGGIOSO, DI INDUBBIO IMPATTO EMOTIVO ED ESTETICAMENTE RICERCATO
La prima scena è da capogiro. C'è un trentenne che scala un'impervia parete rocciosa in t-shirt, senza corde. Vertigini si alternano alla voglia di scoprire chi sia costui e perché si impegni in un'impresa tanto stra-ordinaria. Si passa subito al racconto della persona, alla vita trascorsa in un camioncino tra pentole e docce tutt'altro che confortevoli, allenamenti fisici e appunti quotidiani su un diario. A metà tra flusso di coscienza e intervista, Alex Hannold si racconta al suo amico Jimmy Chin, regista e climber professionista, che lo segue in tutti i sensi. Ci illustra le copertina dei giornali dedicate all'atleta, ma anche la filosofia del ragazzo che, malgrado la fama mondiale, è rimasto se stesso: un appassionato di arrampicata a mano libera, tra sudore, polvere di roccia, volatili e sole. Ha un QI più alto della media e il centro di controllo della paura (amigdala) inibito dagli anni di allenamento senza tener conto delle paure, eppure resta un ragazzo modesto, semplice, alla mano. Immancabile il flashback sulla sua infanzia, con tanto di repertorio fotografico: Alex era un bambino "timido e malinconico", che preferiva arrampicarsi piuttosto che parlare con chicchessia. La fortuna è stata, per lui, poter trasformare il proprio hobby in una carriera dove l'unico, non indifferente, limite è che un solo passo fuori posto può essere fatale. C'è il tocco e la sensibilità della co-regista Chai Vasarhelyi nella descrizione, poi, dell'incontro che colora la vita di Honnold, quello con Sanni McCandless, grazie alla quale scopre il significato del verbo abbracciare e, in sostanza, amare. Ma un free climber può permettersi di abbandonarsi ad una relazione? Il film lascia che questo interrogativo si insinui, sottolineando la filosofia da guerriero del protagonista: da una parte l'abnegazione totale e la necessità di concentrarsi sull'obiettivo al 101%, dall'altra la ricerca della perfezione nell'impossibilità dell'errore. Nel mezzo la maestosità della natura, il trionfo di rumori e colori, l'arcobaleno che spunta involontario e regale tra le cascate. Il lavoro di Chin non è invidiabile solo a livello di montaggio (due anni di riprese, per un totale di circa 700 ore di girato) ma anche e soprattutto da un punto di vista umano: è un documentario "in arrampicata", girato scalando tutti quanti, protagonista e troupe, in uno strano mix di adrenalina e paura condivisa di rischiare di riprendere l'irriprendibile. È un film potente e coraggioso, Free Solo, di indubbio impatto emotivo, ma anche esteticamente ricercato. Colpisce l'attenzione ai dettagli, dal tocco di una roccia simile a una carezza fino al rito di allacciarsi le scarpe, convince il focus sullo spirito prima che sull'impresa. Paradossalmente Honnold avrebbe potuto non arrampicarsi mai, il film non ne avrebbe risentito. Perché mira a raccontare la precarietà della condizione umana che solo il coraggio e l'accanita preparazione di un uomo possono sfidare. E vincere, addirittura: quando raggiunge la cima di El Capitan, un obiettivo dichiarato impossibile da tutti prima di lui, Honnold sancisce il trionfo della finitezza umana sull'infinito. Questa la vera forza di un documentario giustamente candidato agli Oscar dopo aver vinto ai Bafta, suggellato dalla perfetta canzone di Tim McGraw: "Gravity is a fragile thing". (Claudia Catalli, mymovies.it)
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DAFNE
da giovedì 28 marzo
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giovedì 28 ore 17.15
venerdì 29 ore 19.20 - 21.30
sabato 30 ore 16.30 - 20.30
domenica 31 ore 16.30 - 18.30
lunedì 1 ore 17.15
martedì 2 ore 19.20
mercoledì 3 ore 21.30
Regia di Federico Bondi. Un film Da vedere 2019 con Carolina Raspanti, Antonio Piovanelli, Stefania Casini. Genere Drammatico - Italia, 2019, durata 94 minuti.
https://www.youtube.com/watch?v=RXmNT6CFeNU
Dafne, una donna di 30 con la sindrome di Down che vive con i suoi genitori, grazie al suo carattere vivace ed esuberante riesce ad organizzarsi da sola la sua vita. Tuttavia, alla morte improvvisa della madre l'equilibrio familiare si sgretola: mentre Dafne affronta il lutto con coraggio e incoscienza, suo padre cade in una profonda depressione, tormentato dall'idea che lei, quando anche lui se ne andrà, rimarrà da sola. Ma Dafne ha intorno a sé una rete di amici e colleghi a sostenerla. Poi, complice una sessione di trekking in montagna verso il paese natale di Maria, padre e figlia impareranno conoscersi meglio e a superare i rispettivi limiti.
PREMIO DELLA CRITICA INTERNAZIONALE FIPRESCI AL 69. FESTIVAL DI BERLINO (2019), PRESENTATO NELLA SEZIONE 'PANORAMA'.
"(...) L'opera seconda di Bondi, presentata alla sezione Panorama della Berlinale (dove ha vinto il premio Fipresci), è un piccolo film fatto di eventi quotidiani, che si muove sul filo rischioso della commedia drammatica riuscendo quasi sempre a mantenersi equidistante dai vezzi del cinema d'autore e dalle scorciatoie ruffiane. Inutile dire che molto del suo interesse è nella protagonista, Carolina Raspanti, sulla quale sono cucite le scene, e che porta un elemento di imprevisto e di vita in ogni scena." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 21 marzo 2019)
"Federico Bondi un giorno ha visto in strada un padre anziano insieme a una figlia affetta dalla sindrome di Down e ha iniziato a chiedersi come potesse essere la loro vita. Da lì è nata una sceneggiatura che però sarebbe rimasta chiusa nel file di un computer se il regista non avesse incontrato quella letterale forza della Natura che risponde al nome di Carolina Raspanti che ha messo se stessa in Dafne e ha, al contempo, trasferito Dafne in sé. Perché Carolina, come ha dichiarato il regista, non ha letto un rigo della sceneggiatura che è stata rispettata ma anche adattata di volta in volta grazie alla piena consapevolezza da parte dell'attrice della propria condizione. Bondi ha avuto la capacità di intuire che Carolina/Dafne non andava 'guidata' ma accompagnata nel film perché solo così avrebbe potuto venire progressivamente in luce (e manifestarsi in tutta la sua pienezza nell'on the road finale) la complessità e al contempo la linearità di un'esistenza alla cui base sta una sincerità profonda che accomuna tutti i Down. Che sanno essere anche crudeli e ruvidi (come Dafne lo è col babbo) perché capaci di cogliere i punti deboli altrui e di portarli allo scoperto non per cattiveria ma per la costante ricerca di un rapporto che sia privo di finzioni. Però, proprio per questo, si può stare certi che quando manifestano un apprezzamento o un affetto, questo nasce davvero dall'interiorità e non ha nessun secondo fine occulto. Federico e Carolina, grazie anche alle doti di understatement di Antonio Piovanelli nel non facile ruolo del padre, hanno creato il ritratto di una persona non facilmente dimenticabile". (Giancarlo Zappoli, mymovies.it)
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RICORDI?
da giovedì 28 marzo
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giovedì 28 ore 19.20
venerdì 29 ore 17.15
sabato 30 ore 18.20 - 22.30
domenica 31 ore 20.30
lunedì 1 ore 19.20
martedì 2 ore 21.30
mercoledì 3 ore 17.15
Regia di Valerio Mieli. Un film Da vedere 2018 con Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo, Camilla Diana. Genere Drammatico - Italia, Francia, 2018, durata 106 minuti.
https://www.youtube.com/watch?v=Mjgkps88oDs
Durante una festa, due ragazzi s'incontrano, si piacciono e iniziano a raccontarsi i loro incantati ricordi d'infanzia. I due crescono e cambiano: lui scopre che è possibile un amore che dura nel tempo, lei impara la nostalgia. Con la distanza le immagini di questa relazione, come quelle dell'infanzia, di un lutto, di un'amicizia tradita, di una grande gioia, si modificano. Si saturano di emozione, o invece sbiadiscono, si cancellano, finché, riesumate da un profumo, da una parola, riemergono più forti, in un presente che scivola via per farsi subito memoria.
"Non è certo la prima volta che il tema della memoria è al centro di un film, ma mai - mi sembra - con questa centralità. In Ricordi? di Valerio Mieli, «protagonista» del film è proprio il meccanismo stesso della rimembranza, la sua influenza e la sua centralità nell'influenzare e guidare i comportamenti delle persone, un lui e una lei (Luca Marinelli e Linda Caridi). (...)A voler essere fiscali si può discutere qualche eccesso di poeticismo (come la scena delle meduse nel lago) e anche qualche compiacimento narrativo di troppo (soprattutto nei ricordi sulle rispettive famiglie, tenuti insieme da una passione capace di superare le sbandate quella di lei, divorata da una gelosia devastante quella di lui), ma raramente si è visto un film italiano recente avere tanta voglia di sperimentare e tanto coraggio nel cercare strade non battute, offrendo alla montatrice (Desideria Rayner) e alla direttrice della fotografia (Daria D' Antonio) tanta libertà e fiducia. Senza dimenticare il ruolo dei due attori, sulle cui spalle regge gran parte dell'operazione. E se di Luca Marinelli conosciamo da tempo la straordinaria duttilità e bravura, tanto che a ogni sua bella prova come questa non ci si stupisce più, si resta davvero ammirati dalla giovane Linda Caridi, già sorprendente interprete di Antonia Pozzi nel film di Cito Filomarino: in Ricordi? rivela una maturità da grande attrice. (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 19 marzo 2019)
"(...) Un film visivamente impressionante, coraggioso, sperimentale, perfetto, a partire dai due meravigliosi interpreti, Luca Marinelli e la talentuosa Linda Caridi. Da David, il montaggio di Desideria Rayner." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 21 marzo 2019).
"'Dieci inverni' si chiamava l'opera prima di Valerio Mieli, e quasi dieci inverni sono passati per il suo secondo film, che ne è in pratica un remake. (...) A far funzionare visivamente l'insieme contribuiscono l'acrobatico montaggio di Desideria Rayner e la fotografia di Daria D'Antonio insieme a un sofisticato design sonoro che allinea Bach, Debussy, Cajkovskij, Poulenc. E l'uso dei luoghi: Roma e dintorni hanno un' aria poco consueta, un' atmosfera nebbiosa, sospesa. Luca Marinelli, bravissimo, dopo 'Una questione privata' e il film tv su De André rischia di incarnare troppo spesso ruoli da giovane Werther. Ma del resto, per dirla con una formula, è l'unico attore italiano che riesca a risultare credibile soffrendo per amore, e qui rende accettabile un maudit che poteva avere tratti un po' letterari. Una scoperta è invece Linda Caridi, il cui personaggio è quello che muta di più. C'è solo da augurare a Mieli che al terzo film esca dal suo tema, cambi aria e si apra un po' al mondo." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 21 marzo 2019)
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BORDER - CREATURE DI CONFINE
lunedì 1, martedì 2 e mercoledì 3 aprile
per Altre Visioni
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lunedì 1 ore 21.30
martedì 2 ore 17.15
mercoledì 3 ore 19.20
Regia di Ali Abbasi. Con Eva Melander, Eero Milonoff, Jörgen Thorsson, Ann Petrén, Sten Ljunggren. Cast completo Titolo originale: Gräns. Genere Fantastico, Sentimentale, Thriller - Svezia, Danimarca, 2018, durata 108 minuti
https://www.youtube.com/watch?v=wE83VVeaoOo
Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Sullo sfondo di un'inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
PREMIO 'UN CERTAIN REGARD' AL 71. FESTIVAL DI CANNES (2018)
CANDIDATO ALL'OSCAR 2019 PER IL MIGLIOR TRUCCO
"Il film di Ali Abbasi, il regista iraniano-svedese premiato a Cannes: "L'estetica di Hollywood non è la realtà" (...). È l' inizio di un viaggio d'investigazione criminale su una rete di pedofili, ma anche di presa di coscienza personale, costellato da potenti (insvelabili) colpi di scena. 'Border- Creature di confine', tratto dal racconto Gräns dello scrittore svedese John Ajvide Lindqvist è favola mitologica, thriller, racconto morale e sociale che affronta i temi di identità di genere e integrazione." (Aranna Finos, 'La Repubblica', 14 marzo 2019)
"La scoperta di Tina per lo spettatore non è cosa da niente. Difficile parlare di questa eroina singolare e massiva senza rovinare la sorpresa che cova il film e il piacere che procura. Proviamo a girarci intorno. Adattamento del romanzo omonimo di John Ajvide Lindqvist, che aveva già ispirato Lasciami entrare di Tomas Alfredson, dove il vampirismo assumeva forme quotidiane, Border si misura con un'altra creatura leggendaria che popola favole e immaginario della mitologia scandinava. Volto di Neanderthal in un mondo di Sapiens feroci, Tina ha una difformità primitiva che cattura lo sguardo dello spettatore e coglie progressivamente in lei una differenza ontologica. Differenza di cui la protagonista prende a sua volta coscienza nel corso dell'intrigo. Autore svedese di origine iraniane, Ali Abbasi realizza un film sorprendente e immaginifico che inquieta e insieme meraviglia, incrociando cronaca sociale e atmosfera fantastica. I colpi di scena, tutti di rilievo, non sono mai gratuiti in Border che interroga la nozione di umanità, di animalità e le loro frontiere. Se la natura umana è mostruosa, non ci restano forse che i mostri per farci la lezione proprio come nelle favole gotiche di Guillermo del Toro. Sottile e brutale, il film di Abbasi conduce su un terreno originale e perturbante, quello delle vecchie leggende rivisitate e di un fantastico sociale meravigliosamente ispirato. Al di là dei confini del titolo e del possibile, Border avanza attraverso una serie di rotture drammatiche che mettono in dubbio le apparenze. Quello che ci appare perbene pratica la pedofilia, quello che ci appare un'aberrazione genetica la combatte con un superpotere, un fiuto senza pari per l'abiezione umana. Ma Abbasi va ancora oltre, sollevando con la sua protagonista la questione dell'identità. Osservando Tina e Vore imparare a conoscersi e a scoprirsi, apprendiamo qualcosa di più sulla loro origine misteriosa. Tina, che ha passato l'intera vita a sublimare le sue pulsioni animali, le assume a poco a poco. Il regista a questo punto dà prova di un'audacia visiva che solo il cinema scandinavo può offrire, soffiando lirismo e romanticismo nelle scene in cui questa coppia 'ripugnante' mangia vermi o consuma orgasmi. Nell'atto finale il racconto scarta di nuovo e si concentra sui dubbi morali di Tina. Se da una parte apprende a coltivare, con l'aiuto del suo bestiale amante, l'istinto materno che sorge in lei, dall'altra, la violenza esplicita di Vore, la obbliga a scegliere tra l'accettazione di una vita ai margini o il ritorno a un'esistenza osservante delle regole sociali. Radicalità e integrazione diventano due facce alternative che impongono una scelta, la sua scelta. Il percorso di Tina eccede il sovrannaturale, facendosi parabola di un'interrogazione intima e sociale più grande: l'ossessione identitaria. Una fissazione (quella del "noi chiuso") che l'autore, cresciuto in Iran e sbarcato vent'anni fa in Danimarca, ha evidentemente conosciuto. La questione del confine, sollevata fin dal titolo e assunta concretamente con la dogana del porto, si risolve per Tina nel mezzo, nel tentativo di abbattere le barriere, prima di tutto mentali, nei confronti degli altri. Resistente e inatteso come la sua protagonista, una poderosa Eva Melander dissimulata dalla protesi facciale, Border impressiona e destabilizza in permanenza lo spettatore, rinnovando l'appello alla tolleranza. Mentre l'Europa si trincera dietro i suoi confini, il film di Abbasi incoraggia, con un'efficacia delirante, l'apertura di tutte le frontiere". (Marzia Gandolfi, mymovies.it)
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Programma Mabuse Cineclub febbraio-maggio 2019
c/o Cinema Terminale - Via Carbonaia 31 - Prato
CLASSICI DEL FUMETTO ITALIANO
In occasione dell’uscita nei cinema del documentario Diabolik sono io, dedicato al leggendario re del terrore, abbiamo pensato ad una rassegna dei film che hanno rappresentato meglio il mondo poetico di alcuni tra i più importanti autori di fumetti italiani. Fulcro della rassegna è il Diabolik (1968) di Mario Bava, padre indiscusso dell’horror nostrano. Creato dalle sorelle Giussani e uscito a partire dal 1962, insieme a Tex di Bonelli e Galeppini, Diabolik è il fumetto capostipite di tutta una serie di eroi neri che furono pubblicati negli anni successivi. La sceneggiatura non è fedelissima agli episodi a cui si ispira ma lo stile pop-psichedelico di Bava, unito ai trucchi e alle scenografie avveniristiche, lo rendono tutt’oggi un film straordinario e di culto. Nel 1973 ci imbattiamo in un altro film importante, Baba Yaga di Corrado Farina, che è la trasposizione cinematografica di uno dei racconti dedicati da Guido Crepax al personaggio femminile più intrigante ed erotico di tutto il fumetto italiano, la fotografa Valentina, ritratta col viso della diva degli anni Venti Louise Brooks, sempre nuda o in abiti succinti, alle prese con i suoi problemi reali ed immaginari e alla ricerca di amore e sesso estremi. È del 1994, invece, l’omaggio del regista Michele Soavi al mondo poetico di Tiziano Sclavi con il suo Dellamorte Dellamore. Il film si ispira al romanzo omonimo del 1991 ma è legato da un cordone ombelicale evidente al personaggio di Dylan Dog, il nostro fumetto più amato delle ultime decadi, basti pensare soltanto che Francesco Dellamorte è interpretato da Rupert Everett, volto a cui l’autore si ispirò per la nascita del famoso investigatore privato londinese esperto in incubi. Infine Paz! (2001), di Renato De Maria, un omaggio appassionato ai personaggi più famosi di Andrea Pazienza, il fumettista italiano più originale ed innovativo della sua generazione, indimenticabile cantore degli anni della contestazione bolognese di fine anni Settanta.
Spettacolo unico il MARTEDÌ alle ore 21.30
POSTO UNICO 5€ - *COPIE RESTAURATE 6€
RIDUZIONI PER ABBONATI METASTASIO E MONASH UNIVERSITY 4€/*5€
INGRESSO RISERVATO AI POSSESSORI DI TESSERA ASSOCIATIVA 2019 (1€)
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BABA YAGA (Ita, 1973; 83') di Mario Bava
martedì 19 marzo - ore 21.30
c/o Cinema Terminale
via Carbonaia 31 - Prato
CAST
Regia: Corrado Farina
Attori: Sergio Masieri, Mario M. Giorgetti, Ely De Galleani, Isabelle De Funès
Soggetto: Guido Crepax, Corrado Farina
Sceneggiatura: Corrado Farina
Fotografia: Aiace Parolin
Musiche: Piero Umiliani
Montaggio: Giulio Berruti
Scenografia: Giulia Mafai
Costumi: Giulia Mafai
TRAMA
Baba Yaga è una donna misteriosa che si inserisce fra Valentina, fotografa di fotoromanzi e di servizi giornalistici, contestatrice e tenace, e Arno, regista televisivo tuttofare contestatore tiepido inserito comodamente nel "sistema". Valentina si reca a fotografare vecchi gioielli e anticaglie nella casa di Baba Yaga: vecchia e fatiscente la casa, vecchia e sfatta la donna. Baba Yaga dona alla ragazza una bambola anch'essa misteriosa, Annette, che, sincronizzata con la macchina fotografica di Valentina, lancia sottilissime frecce capaci di uccidere o far ammalare mortalmente le vittime...
CRITICA
"Baba Yaga vive in fin dei conti nel punto di incontro, del tutto inusuale, tra il modernismo di una Milano da bere che sembra sorella minore della Londra di Blow Up, e l’arcaismo misterico della bambola Annette, donata da Baba Yaga alla protagonista Valentina, ovviamente fotografa che non ha timore di valicare i confini della morale dell’epoca e di dimostrarsi trasgressiva. Ed è dopotutto un affresco ultra-pop anche il film di Farina, che gioca da un lato con i contrasti netti del set fotografico e dall’altro si lascia ammorbidire da uno sguardo sensuale che tutto confonde, come nella magione-antro della strega, così cupo, quasi deforme, grottesco, fuori dai canoni della logica. Nella Milano iper-razionale del post-boom, capitale di un’economia che si dice allegramente in crescita, vive, vegeta e si nutre un essere mostruoso, più antico dell’antico, eterno forse, materiale e immateriale allo stesso tempo, come quella bambola che sa prendere vita solo per uccidere, mostro umano e demoniaco.
Nel mettere in scena con inventiva mai decrescente la lotta infinita tra istante onirico e realtà Farina sfrutta gli escamotage tecnici a disposizione con uno stile mai prono, sempre intellettualmente alla ricerca del nuovo. Un linguaggio che flirta con gli umori sperimentali dell’epoca e che trova corpo, nella finzione, in quell’Arno Treves interpretato da George Eastman che vorrebbe poter esprimere la propria concezione del mondo attraverso l’immagine ma è “costretto” a limitarsi all’esecuzione ben riuscita di spot pubblicitari, caroselli televisivi invasi da zoom, carrellate, acidità lisergiche e chi più ne ha più ne metta. Ne viene fuori un film teorico e fantastico allo stesso tempo, in grado di avviluppare lo spettatore nelle sue spire di latente erotismo – a Farina l’aspetto sessuale interessa solo nella sua funzione sociale, in questo lontano dalle esigenze anche scopiche delle tavole di Crepax, che infattì apprezzò solo in parte l’operazione cinematografica – senza mai però soffocarlo fino in fondo. Oggetto liberissimo ma mai anarcoide, per lo meno nella resa estetica, Baba Yaga merita di essere annoverato una volta per tutte tra le opere più affascinanti del fantasy italiano, lontano da truculenze di qualsiasi tipo ma in grado di angosciare ancora oggi, a più di quarant’anni dalla sua realizzazione. Una rilettura del mito del Golem che non ha figli, e non ha mai ricercato parentele di alcun tipo. Corrado Farina è stato un regista colto, un intellettuale prezioso. Peccato che i più se ne siano accorti, come sempre, troppo tardi." (Raffaele Meale, Quinlan.it)
Spettacolo unico il MARTEDÌ alle ore 21.30
POSTO UNICO 5€ - *COPIE RESTAURATE 6€
RIDUZIONI PER ABBONATI METASTASIO E MONASH UNIVERSITY 4€/*5€
INGRESSO RISERVATO AI POSSESSORI DI TESSERA ASSOCIATIVA 2019 (1€)
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