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CAFARNAO - CAOS E MIRACOLI
da giovedì 11 aprile
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giovedì 11 e venerdì 12 ore 17.00 - 19.15 - 21.30
sabato 13 ore 17.50 - 20.10 - 22.30
domenica 14 ore 15.50 - 18.10 - 20.30
lunedì 15 ore 21.30
martedì 16 ore 17.00
mercoledì 17 ore 21.30
Regia di Nadine Labaki, con Zain Alrafeea, Yordanos Shifera, Boluwatife Treasure Bankole, Kawsar Al Haddad, Fadi Youssef. Cast completo Titolo originale: Capharnaüm. Genere Drammatico - Libano, USA, 2018, durata 120 minuti. Uscita cinema giovedì 11 aprile 2019 distribuito da Lucky Red.
https://www.youtube.com/watch?v=f-0WF6RQsLg
PREMIO DELLA GIURIA E PREMIO MIGLIOR FILM DELLA GIURIA ECUMENICA FRIPRESCI AL 71. FESTIVAL DI CANNES (2018)
CANDIDATO ALL'OSCAR 2019 COME: MIGLIOR FILM STRANIERO
Zain è un ragazzino dodicenne appartenente a una famiglia molto numerosa. Facciamo la sua conoscenza in un tribunale di Beirut dove viene condotto in stato di detenzione per un grave reato commesso. Ma ora è lui ad aver chiamato in giudizio i genitori. L'accusa? Averlo messo al mondo.
"Nadine Labaki, al suo terzo lungometraggio, conferma la sua profonda empatia con coloro che si trovano a vivere situazioni di disagio sociale.
Questa volta però abbandona totalmente qualsiasi riferimento o anche solo accenno alla commedia per immergerci in una dimensione di dramma che ha al centro un minore e una società che, non sempre per colpa ma comunque oggettivamente, non ha alcuna cura nei confronti di chi invece ne avrebbe maggiormente bisogno.
Per chi non lo ricordasse, il termine cafarnao definisce un luogo pieno di confusione e disordine e tale era la lavagna su cui la regista scriveva i temi che intendeva trattare nel suo film da fare. L'infanzia maltrattata, i migranti, il ruolo genitoriale, i confini tra gli stati, la necessità di avere dei documenti sei si vuole essere considerati come esseri umani a cui si possa dedicare attenzione, la Dichiarazione dei Diritti dei bambini.
Da tutti questi elementi è scaturito un film che sembra aver fatto propria la lezione dei Dardenne portandola però alle estreme conseguenze. A partire della scelta degli attori ognuno dei quali, dal più piccolo agli adulti, ha subito nella propria esistenza i colpi avversi di una esclusione sociale. Questa però non vuole essere una cattura del consenso legata al vissuto degli interpreti. Perché Labaki ha saputo trarre dal cafarnao dei temi e dalle vite vissute un film che ci obbliga a confrontarci con gli argomenti trattati obbligandoci costantemente a porci domande.
I muri sono scrostati come gli animi in una storia in cui un fratello vuole difendere la sorella che lo ha seguito di un anno nella nascita da un matrimonio privo di qualsiasi senso che non sia quello della sottomissione passiva dei genitori allo status quo dominante. Zain non può e non deve comprendere ciò che li spinge a piegare il capo. Sa solo, intimamente, profondamente fino alla viscere, che non è giusto. E si ribella. Non ha avuto genitori che possa ritenere degni di questo nome e quindi non ha modelli di riferimento. Eppure si troverà a fare da padre a un bambino che ancora viene allattato.
In una città in cui dominano i rumori del traffico e l'indifferenza del prossimo, Zain si impegna a non cedere escogitando le strategie di sopravvivenza più ingegnose. Così come non cede Nadine Labaki il cui cinema di impegno civile rende testimonianza a quegli ultimi in favore dei quali lancia un dolente grido di richiesta d'aiuto concreto". (Giancarlo Zappoli, mymovies.it)
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IL MUSEO DEL PRADO - LA CORTE DELLE MERAVIGLIE
lunedì 15, martedì 16 e mercoledì 17 aprile
per La Grande Arte al Cinema
lunedì 15 ore 17.15 - 19.20
martedì 16 ore 19.20 - 21.30
mercoledì 17 ore 17.15 - 19.20
Regia di Valeria Parisi. Un film con Jeremy Irons. Genere Arte, Documentario 2019, Uscita cinema lunedì 15 aprile 2019 distribuito da Nexo Digital. 93'
https://www.youtube.com/watch?v=wSWcNxZoUJI
Il primo viaggio cinematografico attraverso le sale, le storie e le emozioni di uno dei musei più visitati del mondo, che con un tesoro di 8000 opere d’arte incanta ogni anno quasi 3 milioni di visitatori a Madrid.
Capolavori straordinari che raccontano la storia della Spagna e di un intero continente. Ci troviamo in uno dei templi dell’arte mondiale, un luogo di memoria e uno specchio del presente con 1700 opere esposte e un tesoro di altre 7000 conservate. Una collezione che racconta le vicende di re, regine, dinastie, guerre, sconfitte, vittorie. Ma anche la storia dei sentimenti e delle emozioni degli uomini e delle donne di ieri e di oggi, lei cui vite sono intrecciate a quella del museo: regnanti, pittori, artisti, architetti, collezionisti, curatori, intellettuali, visitatori.
In questo 2019 che ne celebra il duecentesimo anniversario, raccontare il Prado di Madrid dal giorno della sua “fondazione” – quel 19 novembre 1819 in cui per la prima volta si parlò di Museo Real de Pinturas – significa percorrere non solo questi ultimi 200 anni, ma almeno sei secoli di storia, perché la vita della collezione del Prado ha inizio con la nascita della Spagna come nazione e con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Un’unione che sancisce l’avvio del grande impero spagnolo. Eppure, per molto tempo nel corso dei secoli, la pittura è stata una lingua universale, che non ha conosciuto frontiere. E se c’è un museo dove si rende evidente che la pittura non è stata toccata dai nazionalismi, questo è proprio il Prado, con le sue collezioni eclettiche e sfaccettate capaci di raccontare come l’arte non abbia passaporti limitanti, ma sia al contrario un viatico universale in grado di comprendere e raccontare i pensieri e i sentimenti degli esseri umani.
Per questo protagonisti de IL MUSEO DEL PRADO. LA CORTE DELLE MERAVIGLIE sono i suoi capolavori, i grandi maestri che li hanno realizzati, le teste coronate che li hanno raccolti, ma anche l’ispirazione europea e libertaria di un museo che è uno scrigno di tesori e di storie. È questo il fil rouge che si snoda nel nuovo docu-film scritto da Sabina Fedeli e diretto da Valeria Parisi, una produzione 3D Produzioni e Nexo Digital in collaborazione con il Museo del Prado, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e in collaborazione con SKY Arte. IL MUSEO DEL PRADO. LA CORTE DELLE MERAVIGLIE, nuovo appuntamento del progetto della Grande Arte al Cinema in arrivo nelle sale italiane solo per tre giorni, 15, 16, 17 aprile, vede tra l’altro una novità d’eccezione: la partecipazione straordinaria del Premio Oscar® Jeremy Irons (ll mistero Von Bulow, Il danno, Mission, Io ballo da sola, La casa degli spiriti, La Corrispondenza…), che guiderà gli spettatori alla scoperta di un patrimonio di bellezza e di arte a partire dal Salon de Reinos, un’architettura volutamente spoglia che si anima di vita, luci, proiezioni, riportando il visitatore al glorioso passato della monarchia spagnola e al Siglo de Oro quando alle pareti erano appesi molti dei capolavori oggi esposti al Prado. Allora in questo spazio si danzava, si svolgevano feste e spettacoli teatrali. Questo era uno dei cuori pulsanti di Madrid e della Spagna intera, così come lo furono il Barrio de las Letras, dove abitavano scrittori e artisti del Siglo de Oro, e, nel Novecento, la Residencia de Estudiantes, dove si incontravano gli intellettuali della Generazione del ‘27, da Buñuel a Lorca sino a Dalí.
I dipinti del Prado riflettono un’epopea unica nel suo genere, che ha dato origine ad uno dei musei più importanti del mondo. Una raccolta “fatta più con il cuore che con la ragione”; perché re e regine hanno scelto solo ciò che amavano. Un inventario di gusto e di piacere che narra vicende pubbliche, dinastie, porporati, guerre e coalizioni. E un inventario di questioni private: un matrimonio, una tavola imbandita, la pazzia di una regina. È un intreccio di teste coronate, hidalgos, majas y caballeros, tutti con le loro vite, le loro verità, i loro messaggi. È la storia di un’epoca di grande mecenatismo, di amore dei monarchi spagnoli per i grandi maestri, come Goya, presente al Prado con un corpus ricchissimo di oltre novecento opere, compresi gran parte dei disegni e delle lettere, come la corrispondenza con l’amico d’infanzia Martin Zapater. L’arte di Goya ha influenzato molti artisti moderni. Come nel caso di 3 maggio 1808, dipinto che narra l’effetto della rivolta degli spagnoli contro l’esercito francese. Un’opera che diventerà simbolo di tutte le guerre e che ispirerà Picasso per la sua Guernica. Come Picasso, anche Dalì e Garcia Lorca rimasero ammaliati dal museo mentre lo scrittore e pittore Antonio Saura, che tornava qui di continuo per calarsi nell’atmosfera di un ambiente magico, definì il Prado “un tesoro di intensità”. Dunque, un’arte che illumina il presente e che ci interroga: che cosa è stato il Museo del Prado in questi duecento anni, che cos’è oggi e che cosa continuerà a rappresentare per le generazioni future questo museo vivo, questo museo che è stato un faro per tutti gli spagnoli nei momenti bui della dittatura, una patria a cui tornare per artisti e intellettuali in esilio?
L’obiettivo delle autrici è stato dunque quello di raccontare non solo la bellezza formale e il fascino della collezione del Prado ma anche quanto attuali siano i temi trattati dalle opere esposte, capaci di narrare attraverso la storia dell’arte, anche quella della società, coi suoi ideali, i suoi pregiudizi, i vizi, le nuove concezioni, le scoperte scientifiche, la psicologia umana, le mode.
IL MUSEO DEL PRADO. LA CORTE DELLE MERAVIGLIE non è solo la narrazione delle sue straordinarie opere, che saranno il cuore del documentario, ma anche il paesaggio delle architetture Reali che sono state teatro e custodi della nascita e dello sviluppo delle collezioni d’arte. Un patrimonio universale che comprende non soltanto le opere di Vélazquez, Rubens, Tiziano, Mantegna, Bosch, Goya, El Greco conservate al Prado, ma anche l’Escorial, Pantheon dei reali, il Palazzo Reale di Madrid, il Convento de Las Descalzas Reales, il Salon de Reinos. Un affresco che contrappone interni ed esterni, quadri e palazzi, pennellate e giardini. La nascita del Museo del Prado è una storia avvincente. Nel 1785 Carlo III di Borbone, incaricò l’architetto di corte Juan de Villanueva di disegnare un edificio per ospitare il Gabinete de Historia Natural. Non lo diventerà mai. L’edificio verrà infatti trasformato nel Museo che oggi conosciamo. Camminare in questo luogo di bellezza, significa lasciarsi stupire, snidare pregiudizi e contraddizioni, scoprire i miti e i simboli di un mondo meraviglioso, a volte rivoluzionario. Significa confrontarsi con se stessi, attraverso la storia dell’arte. Significa rimanere estasiati di fronte a capolavori come la deposizione del fiammingo Van der Weyden, l’Adamo ed Eva di Tiziano, le pitture nere dell’ultimo Goya, Les Meninas di Vélasquez (“L’aria contenuta ne Las Meninas è l’aria di migliore qualità che esista”, sentenziò Dalì), le figure ritorte, allungate, fuori dagli schemi di El Greco, Il giardino delle delizie di Bosch, che risveglia nei visitatori di qualsiasi nazionalità e di qualsiasi cultura, curiosità, aspettativa, attenzione, o l’opera della fiamminga Clara Peters, che ha il coraggio di dipingere dei micro-autoritratti all’interno delle sue tele e rivendicare il ruolo femminile dell’arte o ancora la Donna barbuta di Ribera, dove una donna con il volto coperto da una folta barba allatta al seno il neonato che porta in braccio.
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Programma Mabuse Cineclub febbraio-maggio 2019
c/o Cinema Terminale - Via Carbonaia 31 - Prato
DALLA VIA EMILIA A HOLLYWOOD:
IN RICORDO DI BERNARDO BERTOLUCCI
Lo scorso 26 novembre se n'è andato probabilmente l'ultimo dei grandi Maestri del cinema italiano del dopoguerra: Bernardo Bertolucci. Una figura fondamentale per l'intero panorama cinematografico europeo ed americano, capace di raccogliere e di tradurre l'eredità pasoliniana in uno stile del tutto personale, già all'inizio degli anni '70: un linguaggio mai visto prima che affascinerà un'intera generazione di registi e autori d'oltreoceano e andrà a influenzare tutta la cosiddetta corrente della “New Hollywood”. Ma Bertolucci è stato anche (e continua ad essere) forse il regista più divisivo della nostra Storia recente: gli scandali legati alle presunte oscenità e alle forti prese di posizione politiche presenti in molti dei suoi film (in particolare Ultimo tango a Parigi e Novecento), dopo le condanne e i sequestri iniziali da parte della censura italiana, non hanno mai smesso di placarsi ed è ancora particolarmente in voga una narrativa accusatoria nei suoi confronti, del tutto fuori contesto e priva di alcun fondamento. Per ricordare Bernardo Bertolucci abbiamo deciso di concentrarci sulla prima parte della sua carriera, precedente all'Oscar e ai kolossal hollywoodiani. Film entrati con forza nel nostro immaginario comune, sempre attraverso un impatto critico (alle volte persino violento) col nostro senso di appartenenza e col nostro senso del pudore. Alcuni dei titoli inseriti nella rassegna vengono qui presentati in nuovissime copie restaurate in 4K per la migliore esperienza cinematografica possibile. Buona visione!
Spettacolo unico il MARTEDÌ alle ore 21.30
POSTO UNICO 5€ - *COPIE RESTAURATE 6€
RIDUZIONI PER ABBONATI METASTASIO E MONASH UNIVERSITY 4€/*5€
INGRESSO RISERVATO AI POSSESSORI DI TESSERA ASSOCIATIVA 2019 (1€)
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ULTIMO TANTO A PARIGI - copia restaurata 4K in vers.orig.sott.it
martedì 9 aprile - ore 21.30
c/o Cinema Terminale
via Carbonaia 31 - Prato
CAST
Regia: Bernardo Bertolucci
Attori: Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti
Soggetto: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli
Fotografia: Vittorio Storaro
Musiche: Gato Barbieri
Montaggio: Franco Arcalli, Roberto Perpignani
Scenografia: Ferdinando Scarfiotti
Arredamento: Maria Paola Maino
Costumi: Gitt Magrini
Suono: Federico Savina
TRAMA
Un uomo, rimasto vedovo della moglie suicida, si aggira per Parigi in preda a una irrefrenabile malinconia, dovuta, oltre che alla perdita della sua compagna, a un passato confuso e alla perdita della giovinezza. L’incontro con una giovanissima ragazza borghese e il loro fulmineo rapporto sessuale cambierà la vita di entrambi. Ma l’uomo sembra imprigionato in una sorta di ossessione erotica, che solo in un primo tempo è condivisa dalla giovane donna.
CRITICA
"Questo è sicuramente il più potente film erotico mai fatto e può rivelarsi il film più liberatorio dell'intera storia del cinema. Bertolucci e Brando hanno cambiato la faccia di questa forma d'arte". (Pauline Kael, New Yorker 1972)
Il leggendario film di Bertolucci – 2 candidature ai Premi Oscar, un premio ai Nastri d’argento, un premio ai David di Donatello e 2 candidature ai Golden Globes – è stato distribuito lo scorso maggio nelle sale cinematografiche a cura della CSC Distribution (in versione restaurata in 4K). Un evento di eccezionale importanza. Il film, considerato oggi un classico della storia del cinema, suscitò scandalo alla sua uscita; la censura avviò un procedimento penale contro la pellicola che sfociò nella condanna al rogo del film, decretata il 29 gennaio 1976, per poi essere riabilitata nel 1987. Ultimo tango a Parigi ebbe un enorme successo di pubblico, che portò il film a piazzarsi secondo negli incassi della stagione 1972-1973 in Italia e poi, una volta riabilitato nel 1987, a divenire il più grande incasso di sempre per il cinema italiano con circa 87 miliardi di lire. Al 2016 il film di Bertolucci risulta essere il film italiano di maggior successo della storia in Italia per numero di biglietti staccati con ben 15.623.773 spettatori paganti. Nel 2002 l’American Film Institute lo ha inserito al 48º posto della lista dei “100 migliori film sentimentali di tutti i tempi”. (Bifest)
Un abisso culturale sembra separarci dal 1972, anno di uscita di “Ultimo Tango a Parigi”. Mentre finiva la guerra del Vietnam e il mondo si stava da poco riprendendo dallo scrollone politico sociale innescato dal ’68, un regista poco più che trentenne decideva di mettere su pellicola i suoi traumi personali, mescolandoli spregiudicatamente ad altri più ampiamente generazionali. Un Brando già mitico è un uomo pencolante sul baratro di una vecchiaia insensata; Maria Schneider l’emblema di una femminilità in bilico fra nichilismo ribelle e annullamento conformistico. Sullo sfondo di tutto, una Parigi senza respiro, decadente, cerebrale ed estenuata, magicamente animata dal sax prodigioso di Gato Barbieri, che cura la colonna sonora. La fotografia ora livida ora lirica di Storaro avvolge i personaggi, accarezzandone alla perfezione le ombre e le ambiguità.
Il film incarna pienamente i dubbi di un’epoca di transizione, la rivoluzione femminista e le sue contraddizioni, il desiderio di smantellare i vacui codici della coppia e l’impossibilità di vivere effettivamente una sessualità puramente animale, priva di sovrastrutture nevrotiche e di rimpianti. Il tramonto del mito virile simboleggiato dall’eroe di “Il selvaggio” o “Un tram che si chiama desiderio”.
Lo stesso appartamento vuoto e semibuio dove i due protagonisti si incontrano, si seducono, si amano e si tormentano sembra simboleggiare alla perfezione l’inquieto vuoto di senso nel quale l’intera società occidentale si stava avventurando, mentre l’atmosfera post-sessantottesca lasciava il posto al trionfo della pop culture e del postmoderno. Ma “Ultimo tango a Parigi” è prima di tutto una storia sull’incomunicabilità fra gli esseri umani e sull’amore. Più è forte l’amore, più la comunicazione sembra impossibile.
Lo scacco destinato a tradursi solo nel crimine e nella morte, mentre ogni dolcezza sensuale, anche quella archetipica del tango argentino viene di fatto negata. Riguardando il film ai nostri giorni può essere difficile comprendere lo scandalo generale suscitato e le persecuzioni giudiziarie delle quali fu fatto oggetto per anni, fruttando a Bertolucci un’infamante condanna penale, ma anche un Oscar negli allora assai più liberali Stati Uniti. Eppure i dubbi e le domande poste da questa dolorosa disamina dell’esistenza umana non sono stati risolti dal fluire del tempo e rimangono ancora con noi, persistenti come le immagini di questo capolavoro. (Ecodelcinema)
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